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Descrizione della sezione


L-II. "PARLANDO COSE CHE 'L TACERE È BELLO" - MESSINSCENA DEL DIALOGO NELLA LETTERATURA ITALIANA: DAL "DIALOGO COI MORTI" AL "DIALOGO DELLA COSCIENZA"

Roberto Ubbidiente (HU Berlin), Massimiliano Tortora (Perugia)


Nell'ambito di una concezione della Letteratura come forma estetizzata di comunicazione il Dialogo rappresenta la principale forma espressiva del discorso poetico-letterario. Una dialogicità concepita nel modo più ampio possibile ha luogo su più livelli:
  1. a livello autoriale, come dialogo tra l'Autore e i suoi personaggi ovvero i suoi lettori;
  2. a livello dei personaggi, come dialogo tra due protagonisti, tra il protagonista e il suo alter ego o il suo antagonista così come tra il protagonista e gli altri personaggi nonché tra personaggi principali e secondari;
  3. a livello di opera: intratestualità e intertestualità come "dialogo" con le fonti.
Nel corso della storia della Letteratura queste diverse forme di dialogicità sono state variamente rappresentate conoscendo in tal modo delle drammatizzazioni di volta in volta influenzate dalla poetica e dalla concezione della letteratura della rispettiva epoca o del rispettivo Autore.

Nelle Letteratura italiana simili messinscena del dialogo sono riscontrabili in forma esemplare ed hanno contribuito alla formazione di un vero e proprio topos. Nell'ambito di un dialogo interculturale con le fonti, per esempio, Autori antichi, vissuti come modelli, diventano figure-chiave di una autorappresentazione del poeta moderno. Il motivo di fondo di ale rappresentazione risiede nell'agognata accoglienza in una ristretta cerchia ("la bella scola"), che da Dante in poi rappresenta un vero e proprio atto di legittimazione:
    Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
    volsersi a me con salutevol cenno,
    e 'l mio maestro sorrise di tanto;
    e più d'onore ancora assai mi fenno,
    ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
    sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
        (Inferno, IV, 97-102)
L'accoglienza dle Poeta nella ristretta cerchia dei suoi modelli classici (Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e Virgilio) può essere considerata come il prototipo di un legitimmante "Dialogo tra gli Antichi ed i Moderni".

Come mostra Dante, questo dialogo senza tempo è sottoposto a determinate regole. Esso infatti non può essere ricondotto ad un diritto del poeta da legittimare ma avviene sulla base di una libera decisione di coloro che lo accolgono nella loro cerchia. Il fatto che la "bella scola" acconsenta ad un dialogo con il poeta moderno è inoltre segno di un particolare onore che gli viene fatto e che si esprime nella partecipazione da pari a pari al dialogo interno alla cerchia.
    Così andammo infino a la lumera,
    parlando cose che 'l tacere è bello,
    sì com'era 'l parlar colà dov'era.
        (Inferno, IV, 103-105)
Attraverso l'accoglienza nella ristretta cerchia dei suoi modelli ed il conseguente scambio dialogico con essi, il poeta trova finalmente il proprio posto in seno ai suoi simili, come mostra chiaramente l'esempio dantesco (cfr. la posizione gerarchica assunta dai poeti antichi, guidati da Omero, prima dell'accoglienza di Dante).

La tematica del "posto" assunto in seno alla cerchia rinvia all'aspetto teatralizzante e rappresentativo di questo topos. Un esempio illuminante di ciò viene offerto dalla celebre lettera di Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori (10 dicembre 1513), in cui la drammatizzazione del dialogo con i modelli viene allestita soprattutto sotto forma spaziale. Si pensi al cambio d'abiti del Segretario prima di entrare nel suo scrittoio, in cui incontrerà ed interrogherà gli Autori classici, nonché alla divisione spaziale tra l'ambiente ordinario della sua casa e lo stodiolo in cui "va in scena" il suo dialogo notturno (una separazione spaziale che riprende la divisione temporale della giornata in una parte diurna dedicata alle occupazioni ordinarie ed ai lavori manuale ed una notturna riservata alle occupazioni intellettuali). Lo studiolo dello scrittore diviene così il locus deputatus di un'autorappresentazione in seno dei suoi pari e in dialogo con essi:
    Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste quotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandarli della ragione delle loro actioni; e quelli per loro umanità mi rispondono.
"Accoglienza", "concessione di onore", "individuazione del proprio posto" e "scambio dialogico" caratterizzano dunque anche la messinscena del dialogo machiavelliano con i Classici.

In una variazione meterialistica del tema i modelli classici si trasformano successivamente in "morti". Il topos del Dialogo coi morti conoscerà due importanti trattazioni nella Letteratura italiana sette-ottocentesca con l'opera omonima di Giuseppe Colpani e soprattutto con il Coro dei morti nello studio di Federico Ruysch di Giacomo Leopardi.

Agli inizi del Novecento il motivo conosce una svolta decisiva attraverso Luigi Pirandello con cui prende il via un processo di interiorizzazione. In questo caso non si tratta più di Classici né tanto meno di modelli ma di semplici e sconosciuti personaggi fittivi che si presentano al cospetto dell'Autore e lo spingono a narrare la loro storia. Dopo l'Aldilà e la Stanza della scrittura nelle sue diverse varianti ("cameretta", "scrittoio", "studio" ecc..), come luogo di autorappresentazione prediletto dell'Autore, il "teatro" si è quindi spostato nel suo intimo: i "morti" di una volta sono quindi divenuti "fantasmi" che popolano la coscienza dell'Autore spingendolo a scrivere.

Dopo le prime elaborazioni ne La tragedia di un personaggio (1911) e Colloqui coi personaggi (1915), questo motivo trova la sua definitiva forma di drammatizzazione nelle figure dei Sei personaggi in cerca d'autore (1921), un'opera che ha profondamente influenzato la concezione moderna del teatro e del personaggio teatrale. Dopo Pirandello non si tratta più di Autori in cerca di legittimazione ma di figure "fantastiche" che parlano dal loro profondo.

Al termine di questo processo di interiorizzazione, il "Dialogo coi morti" si è trasformato in un "Dialogo della coscienza", in cui l'Autore si trova confrontato con i "fantasmi" prodotti dal suo conscio o dal suo inconscio. Lingue di lavoro: Tedesco / Italiano

Per ogni intervento sono previsti 45 minuti (orientativamente 30 min. di relazione e 15 min. di dibattito).

Le proposte di intervento complete di titolo e abstract (max 20 righi) possono essere inviate entro e non oltre il 20 dicembre 2010 a:


Contact: robertoberl@yahoo.de







  

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